adozione e disciplina dolce: come è possibile?

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Disciplina Dolce

adozione e disciplina dolce: come è possibile?

Adozione e disciplina dolce, adozione e alto contatto, adozione e stili di attaccamento: come gestire con i principi della DD un tipo di genitorialità particolare, ancora più complesso?

Ne ho parlato nell’episodio 67 del mio podcast, insieme a Fabia Pellizzoni, mamma adottiva di una bimba e attualmente nel lungo, faticoso ma anche elettrizzante momento di attesa del secondo figlio.

La Discicplina Dolce è un approccio educativo che nasce e cresce, nella teoria e nella pratica, sulla base di studi e sviluppi delle neuroscienze che ci raccontano meglio come “funzionano” e si evolvono i cervelli, dunque le emozioni, i bisogni e le abilità dei bambini.

Questi studi hanno fatto comprendere a pedagogisti come me, e poi ad educatori e genitori, che un’educazione basata su alto contatto, rispetto delle emozioni, ascolto attivo, comunicazione non violenta e rinuncia a premi e punizioni come scorciatoia educativa, consentono uno sviluppo migliore, la creazione di adulti più sereni.

Scopri i 10 principi fondanti della disciplina dolce.

Ma come si applicano i principi della disciplina dolce, come l’alto contatto fin dalle prima fasi della vita, in una famiglia in cui genitori e bambini si incontrano anche dopo 3-5 anni? Come si fa quando, per ovvi motivi, è mancato l’alto contatto dell’allattamento? Come si accettano le emozioni di bambini che, in moltissimi casi, trascorrono molti mesi senza capire la nostra lingua (e noi la loro)?

Grazia a Fabia, diamo alcune risposte e spunti a mio avviso preziosi.

Ciao, sono Elena Cortinovis, pedagogista ed educatrice, ferma sostenitrice della Disciplina Dolce.

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Sconfiggere il senso di inadeguatezza

Per quando la genitorialità possa essere complessa, quella biologica ha dei parametri socialmente molto noti e condivisi: pensiamo ad esempio all’attesa.
L’attesa di un bambino dura 9 mesi, comporta una pancia evidente, che comunica al mondo e alla società quello che i genitori e in particolare la mamma stanno vivendo, nel bene e negli aspetti meno positivi.

Invece i genitori adottivi hanno un’attesa, una gestazione emotiva e psicologica che attraversa fasi differenti: burocrazia, colloqui di idoneità, dover dimostrare di essere persone perfette, migliori, adatte.
Per quanto questo sia sensato e giusto per questioni di tutela del minore, è inutile negare il senso di solitudine e la lotta contro il senso di inadeguatezza che un genitore adottivo deve affrontare, sia durante l’attesa che dopo l’adozione.

Anche la stessa attesa, come nel caso di Fabia, può durare diversi anni e, a differenza di quella biologica, non ha un punto di arrivo ben definito e anche per questo l’esercizio all’attesa diventa fondamentale per un genitore adottivo: l’esercizio all’attesa, l’accettazione del dover avere pazienza, tornerà molto utile durante le fasi della vita da genitore.

Il primo passo verso un’accoglienza e una genitorialità rispettosa passa anche attraverso l’accettazione e l’analisi di queste emozioni, da parte dei genitori.
Le emozioni, anche quelle negative, non vanno negate ma attraversate e vissute, scoperte e legittimate.

Adozione e alto contatto: è possibile?

fiducia dei bambini

La disciplina dolce dimostra come un’infanzia vissuta in “alto contatto” aumenti la possibilità di

  • crescere bambini e poi adulti sicuri, consapevoli di non essere soli,
  • far vivere ai genitori in modo più sereno,
  • rafforzare il legame emotivo tra genitori e figli.

L’alto contatto, nelle sue basi, passa attraverso fasi come l’allattamento e il contatto in fascia (baby wearing) nei primi mesi di vita, o il bed sharing.

E quando si adotta un bambino che per ovvi motivi non abbiamo potuto allattare?
E quando si adotta un bambino (o più bambini, insieme) di 4-5 anni e, per ovvie ragioni di peso e dimensioni non si possono più portare in fascia?

Questi nostri bambini sono forse destinati a portarsi dietro stili di attaccamento insicuri?

Per fortuna no!
Per fortuna è possibile aiutare i nostri bambini adottivi a ricreare e ricostruire degli stili di attaccamento sicuri, anche se diventano nostri figli oltre i primi anni di vita.

Come ci dice la voce della nostra Fabia Pellizzoni che potete ascoltare nel podcast, i bambini adottati dopo i tre anni tendono ad essere molto autonomi, alcuni bambini addirittura, anche quando molto piccoli… non piangono per i loro bisogni fondamentali.
Il motivo è che, perché soli nei primi anni di vita, hanno dovuto sviluppare un’autonomia forzata, che però rischia di creare adulti con stili di attaccamento insicuri ed evitanti, lasciando la consapevolezza profonda di essere, in realtà, sempre soli al mondo.

Per i genitori adottivi deve dunque entrare in gioco l’esercizio alla dipendenza: bisogna insegnare ai bambini che possono e devono anche affidarsi ad adulti che saranno lì con loro per sempre.

In questo, l’alto contatto può essere vitale, soprattutto perché l’alto contatto può consistere in

  • lunghi abbracci (anche di 2 – 3 minuti) quando il bambini sembra triste,
  • sedersi accanto a loro e aspettare che finiscano di piangere quando hanno una crisi (che noi adulti ci ostiniamo a chiamare erroneamente capriccio)
  • accompagnare e/o aiutare il bambino a fare qualcosa anche quando sembra molto autonomo nel farla o, semplicemente, far presente che se vuole aiuto noi ci siamo,
  • restare a lungo nel lettino con loro a leggere storie prima di addormentarsi,
  • basare la nostra comunicazione sull’ascolto empatico.

Accettare di aver bisogno di aiuto

cervello bimbo di due anni

I genitori adottivi hanno un forte, fortissimo elemento in comune con i propri figli: hanno vissuto o vivono parte di un percorso di solitudine, in cui si sente spesso di non poter chiedere reale aiuto.

Come un bambino adottivo viene da un trascorso di solitudine, anche i genitori devono attraversare senso di inadeguatezza, solitudine tra amici, famiglie e una società ancora legata a stereotipi sulla genitorialità biologica e sull’adozione che, spesso, fa sentire soli e fa abbandonare in partenza l’idea di non esserlo e di poter chiedere aiuto.

Questo cammino verso una maggiore sicurezza in se stessi, nel proprio legame e nel mondo che ci circonda può essere fatto anche insieme, facendosi aiutare da esperti, che siano psicologi e/o pedagogisti.

La Disciplina Dolce ha alla base la scelta di un amore incondizionato, che è infatti il principio su cui si basa la scelta e la forza dei genitori adottivi; anche solo per questo, credo che i genitori adottivi siano i più adatti ad abbracciare questo approccio pedagogico con più successo.

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