La Sedia della riflessione: sempre un errore?

sedia della riflessione
Disciplina Dolce

La Sedia della riflessione: sempre un errore?

La sedia della riflessione, o sedia del pensiero a seconda di come genitori e pedagogisti decidono di volta in volta di battezzarla, è un metodo ancora usato in molte scuole dell’infanzia e in molte famiglie, che consiste nel far sedere un bambino da solo, su una sedia, in uno spazio più o meno lontano dalle altre persone (angolo, stanzetta) affinché “rifletta” su quello che ha fatto (ovviamente di male, dal nostro punto di vista adulto).

Basta leggere tra le righe di questa mia introduzione e conoscere la mia storia come pedagogista e divulgatrice per capire che non sono assolutamente fan di questo metodo che, in estrema sintesi

  • applica al bambino archetipi adulti (la riflessione e l’utilità riflessiva della solitudine);
  • agisce sulla psiche del bambino come una forma di violenza e, in alcuni casi, trauma;
  • porta i bambini a diventare adulti che scelgono l’auto isolamento come forma auto sabotante e punitiva, da adulti.
    (Se qualcuno si riconosce in questo punto, vuol dire che non è vero che, noi cresciuti con punizioni e premi “siamo venuti su bene lo stesso“),

Ma ci sono dei casi in cui la sedia della riflessione, la scelta di isolare (o meglio allontanare) il bambino da una situazione di conflitto o errore, può in qualche modo tornare utile?

Solo in alcuni casi e con determinati criteri applicativi, molto consapevoli da parte dell’adulto, sì.
Ma prima di scoprirli, parliamo dal capire perché il metodo della Sedia della riflessione è, nella maggior parte dei casi, più deleteria che utile e più che responsabilizzare il bambino, deresponsabilizza noi adulti.

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L’isolamento è una forma di violenza

Già utilizzata, nelle forme più estreme, come forma di punizione educativa ai tempi della pedagogia nera, l’isolamento è una forma di punizione, e come tale è sempre percepita dal bambino.

E una punizione, in quanto forma di violenza, accresce nel bambino frustrazione, rabbia (indipendentemente da quanto poi possa venire repressa dal bambino stesso);

L’isolamento non aiuta i mafiosi a riflettere sui propri errori, figuriamoci un bambino che ha fatto qualcosa che non ci piace.
Iperbole a parte, l’isolamento come spazio sicuro per riflettere è una scelta auto determinata che arriva nel periodo dell’adolescenza, e anche il rapporto stesso dell’adulto con la solitudine rischia di non essere sano se nell’infanzia si è stati educati con il metodo della Sedia della riflessione.

Ci sono poi dei casi in cui l‘imposizione all’isolamento è addirittura una scelta traumatizzante anche nel lungo termine, cioè

  • quando l’isolamento forzato è in un luogo al buio e con la porta chiusa, cosa che genera stato di panico;
  • quando è un metodo sistematico e frequente;
  • quando si accompagna con urla la punizione e la relativa imposizione di isolamento (se la chiamiamo così, per quello che è, la Sedia del Pensiero ci appare molto meno filosofica, vero?)
svalutazione emotiva - delegittimazione delle emozioni

Al di sotto dei tre anni, non sanno “riflettere”

Negli anni di attività di pedagogista nelle scuole dell’infanzia e negli anni di consulenze nelle stesse, ho visto applicare il metodo della Sedia del Pensiero o Sedia della riflessione anche per bambini nella fascia di età 2-4 anni.
Niente di più inutile.
I parametri del pensiero critico, il concetto di azione-reazione e tutti i rapporti di causa effetto sono schemi celebrali ancora inesistenti nel cervello del bambino.
L’isolamento sarà percepito solo come solitudine improvvisa, interruzione al gioco e all’interazione, interruzione dell’azione di “specchiarsi” negli adulti.

Risultato? Senso di frustrazione accentuata, rabbia montante, effetto a breve o a lungo termine esattamente opposto a quello che avremmo voluto e soprattutto del tutto opposto a ciò che fa bene ai bambini.

terribili due

La riflessione va accompagnata e guidata dall’adulto

Isolare un bambino, anche di 5-7 anni, affinché rifletta su quello che ha fatto di sbagliato (sempre secondo noi), è un metodo che deresponsabilizza gli adulti, che hanno invece il ruolo di guidare i bambini nella decodifica dei codici complessi per loro che il mondo ha.
Il motivo per cui una cosa non si fa, o non si fa in quel modo, sta a noi spiegarla. La differenza tra opportuno e inopportuno, giusto e sbagliato, bene e male, nei primi anni del loro percorso in questo mondo, va accompagnato da una guida adulta.

Metterli da soli su una sedia è solo un modo per iper responsabilizzare il bambino e deresponsabilizzare noi dal nostro ruolo di guida emotiva prima che comportamentale.

Ma allora, quali sono i casi in cui isolare un bambino in un momento di crisi è una buona idea?

“Isolare” un bambino in un momento di crisi può fare bene solo se…

sedia della riflessione o sedia del pensiero - forma educativa o punitiva?
  • noi (una mamma, un papà, un’educatore) ci allontaniamo con lui/lei.

Se c’è una piccola rissa-lite con i compagni, e il bambino ha una reazione e crisi aggressiva, se ha una crisi di urla e pianto (di cui ho scritto nel dettaglio qui) è utile allontanare il bambino dalla situazione di ansia e stress, dal caos. Ma noi dobbiamo andare con lui.

  • “scendiamo al loro livello” anche fisicamente, e spieghiamo con parole adatte alla loro età, con gli occhi all’altezza dei loro occhi, cosa succede;
  • illustriamo e spieghiamo cosa provano, spieghiamo la situazione e quello che la sua reazione provoca.
    “Sei arrabbiato? Cosa ti fa arrabbiare? Lo sai che se dai un ugno puoi fare male e l’altro bimbo è triste? Lo so, non sei felice adesso vero? Sono qui con te.”.

la sedia della riflessione agisce solo sul breve termine

La Sedia della riflessione e tutte le sue declinazioni lessicali è, spesso, un modo per risolvere nel qui ed ora una situazione di disagio e caos, che mette in difficoltà noi adulti che amiamo il controllo, o almeno amiamo pensare di poter avere sempre il controllo di tutto.
Beh, non è così, noi adulti dobbiamo avere la flessibilità di saper gestire le situazioni di crisi, anche con il pensiero laterale.

Il non isolare e accompagnare il bambino nel comprendere un errore o un atteggiamento pericoloso o sbagliato è di certo molto più impegnativo, ma ci tornerà utile a lungo termine (soprattutto tornerà utile a loro).

Il loro rapporto futuro con la solitudine sarà un rapporto scelto, sano e realmente riflessivo.

Come tutte le scelte pedagogiche della disciplina dolce, anche la scelta di accompagnare nella risoluzione dei problemi e del non punire-isolare, è una scelta per avere i migliori effetti nel lungo termine, e questi effetti non sono un “bambino obbediente”, ma un bambino sereno che ha fiducia nell’adulto e nelle due guide di riferimento, un adulto che non si auto isola ogni volta che si sente in difetto.

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