Dare premi ai bambini e gratifiche materiali: quando sì e quando no?

cmunicazione non violenta con i bambini
Disciplina Dolce

Dare premi ai bambini e gratifiche materiali: quando sì e quando no?

Dare premi ai bambini è utile o dannoso? Quando una gratificazione per un’azione positiva ha un risvolto positivo e quando può invece compromettere l’autonomia, la sicurezza, il senso critico di un piccolo cervello in crescita?

Parliamo senza giudizi, come è tipico della Disciplina Dolce.

Ciao, sono Elena Cortinovis, pedagogista, esperta e portavoce della Disciplina Dolce, mamma di due piccole gemelle che erano minuscole fino a ieri e adesso hanno già quasi 5 anni! (capita anche a te di chiederti “ma quando sei cresciuto così?” quando guardi i tuoi piccoli?)

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La Disciplina Dolce non ama le punizioni ma anche ai premi, tuttavia….

Se nelle consulenze come anche nei miei corsi è più o meno lineare (mai semplice) spiegare il motivo per cui le punizioni, anche “a fin di bene” sono una scorciatoia per avere la vita più semplice nell’immediato ma creando grossi pericoli per il futuro, è più complesso spiegare il motivo per cui anche premiare i bambini che hanno fatto qualcosa di buono ha le sue belle spine.

In fondo, lavoro con genitori, e i genitori amano i propri figli: convincervi del motivo per cui le minacce possono creare paura nei vostri confronti, frustrazione, sentimenti contrastanti di astio verso le persone che i nostri figli amano di più (cioè noi), è un percorso lineare.
Anche per i genitori più vincolati ai vecchi metodi, bastano pochi esempi per far capire che anche noi, cresciuti a suon di ciabatte volanti, non siamo “venuti bene lo stesso” e minacce e punizioni ci hanno dato un senso perenne di inadeguatezza dal quale ancora oggi facciamo fatica a liberarci.

Ma quando si parla di premi e gratifiche da dare ai bambini, quando prendono un bel giudizio a scuola, quando mettono a posto la cameretta, quando fanno un bel disegno o fanno un bel castello con le costruzioni, è più difficile far capire ai genitori che quel “come sei bravo” non è utile.
Più complesso è far capire che può essere persino deleterio.

Il punto è che i bambini non hanno bisogno del nostro premio

Quando un bambino compie una nuova azione, quando porta a termine un nuovo processo, sia esso lavarsi i dentini da solo, allacciarsi le scarpe, rimettere a posto i giochi, ha già in sé su un piano fisiologico e cognitivo un senso si soddisfazione.
Quello che possiamo fare di buono, in questi casi, è rinforzare il loro insito senso di soddisfazione, puntando l’attenzione su questo, sulla loro soddisfazione.
“Hai messo a posto la cameretta e i giochi: hai visto come sei bravo/veloce? – è stato faticoso? – ti piace di più adesso la cameretta?”.

In pratica, quello che vi consiglio non è affatto l’indifferenza, ma lo sforzo di lasciare la concentrazione su di loro, sulle loro emozioni, sulla loro soddisfazione, e non riportare tutto sul premio che viene dall’esterno.

Se iniziamo ad inserire in modo costante e certosino un premio ai loro traguardi, quello che generiamo è il senso per cui un obiettivo e una “buona azione” ha realmente senso solo se riconosciuto ufficialmente dalla figura di riferimento. Che oggi siamo noi, domani sarà la maestra, dopo domani saranno i compagni di scuola, in futuro remoto sarà il partner.

Il rinforzo positivo ci deve essere, ma non deve sempre e necessariamente passare attraverso un messaggio di approvazione o di merito.

Scopri i principi della Disciplina Dolce, in 10 punti.

fiducia dei bambini

Gratifica verbale: perché riempire di “bravo” è pericoloso

Una delle prime ricompense non è solo quella che passa da un regalo o da un oggetto, ma anche dal reiterato “bravo”, che diventa ancora più pericoloso se legato, specularmente, alla negazione dell’approvazione (cioè del “bravo”) per tutte le azioni che noi non riteniamo meritevoli di quel giudizio.

Se per ogni cosa che a noi pare valida, il rinforzo passa solo attraverso un giudizio di merito (sei bravo) senza mai soffermarsi sui sentimenti positivi provati dal bambino, rischiamo di sedimentare una forte insicurezza a seguito di tutte le azioni non seguite da un bravo (perché possiamo essere i genitori più entusiasti del mondo, ma non possiamo essere sempre lì a dire “bravo” ad ogni minima azione).

In pratica, ad ogni gratifica o premio, l’attenzione si sposta troppo nettamente sui nostri sentimenti di soddisfazione e approvazione, tralasciando del tutto il ruolo attivo del bambino nell’azione stessa.

Premi ai bambini: il rischio della ricompensa

giochi per femmine e giochi per maschi

A volte premiamo i bambini con regali e ricompense (andare al parco o andare a fare cose divertenti).
Al di là del messaggio opportunistico che rischiamo di trasmettere, secondo sui una cosa si fa per ottenere qualcosa in cambio (siamo certi di voler continuare ad alimentare questo pensiero nella società?), 9 volte su 10 alla ricompensa si associa in automatico una punizione:
“Se metti a posto la cameretta andiamo al parco” è semplicemente la versione positiva del “se non metti a posto la cameretta, niente parco”, per il cui il legame tra fare qualcosa per paura o farla per avere una ricompensa è stretto, strettissimo.

In più, teniamo a mente che già, per cause e ragioni che non dipendono da noi, immettiamo i bambini in una società in cui, dai sei anni in poi, il loro valore verrà frazionato in una fredda scala numerica (i voti di scuola); forse entreranno a poco più di 12 anni nel mondo dei social, dove si confronteranno ogni giorno con altri numeri e metriche che determinano il valore putativo di ogni loro attimo di vita…. forse è il caso di lavorare bene, con molta attenzione, in famiglia (la parte di società che invece possiamo direzionare eccome) alla creazione di piccoli individui consapevoli del loro valore indipenentemente dal premio o dal parametro di giudizio esterno al loro sentire.

Prepariamoli ad avere spalle larghe e a capire che la bontà delle loro azioni e della loro vita non è legato al feedback e alla ricompensa che viene da altri, in primis dai genitori.

Aiutiamo i nostri figli ad imparare il valore di fare alcune cose perché è giusto per loro e bello per loro farle, non perché qualcuno darà un regalo, un premio, un voto.

Aiutiamoli a concentrarsi sulla soddisfazione che dà a loro l’aver finito un compitino, l’aver imparato a mettersi da soli le scarpe, l’aver fatto un bel disegno.

Premi in cibo: da evitare sempre

premiare i bambini con il cibo

Lo ammetto, se a volte anche io cado con le mie bambine nella tentazione di promettere una passeggiata in bici se riusciamo ad arrivare in tempo all’asilo al mattino, su una cosa non c’è se e non c’è ma: niente premi che riguardino il cibo.

Nell’infanzia il cibo ha un valore simbolico e vitale e il rapporto che genereremo tra loro e il nutrimento nei primi li accompagnerà probabilmente per tutta la vita.
Menziono qui un veloce passaggio sull’approfondimento specifico sul Premiare i bambini con il cibo, che ti invito a leggere con attenzione.

“Molti adulti vivono il cibo come un elemento consolatorio (mangiare dolci per consolarsi) o punitivo (smettere di mangiare se non si rispettano più dei canoni imposti dall’esterno).
In entrambi i casi, quello che si blocca è la capacità di ascoltare i propri bisogni alimentari ed emotivi.
Si blocca la capacità di capire se si vuole mangiare un cioccolatino per innocente golosità e voglia o se per colmare qualcosa. Si interrompe la capacità di capire se non si sente fame o ci si priva di cibo perché si è davvero inappetenti momentaneamente o se perché ci si sente “immeritevoli” di un premio.”

Ribaltiamo i nostri parametri

Se noi crediamo che schiacciare ogni azione con un premio o un’approvazione forzata sia una buona idea non è perché siamo genitori cattivi o disattenti: vuol dire che anche noi siamo cresciuti in un mondo in cui il nostro valore viene stabilito e misurato per sempre su delle chiavi di performatività, per cui se fai delle cose sei “bravo”, se non le fai non lo sei.

Il nostro essere genitori può essere il primo passo per riflettere su questi aspetti e, crescendo i nostri figli, cambiare la società della performatività a tutti i costi, in cui non c’è niente che non si fa in cambio di nulla.

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