Che cosa è il carattere di un bambino? Come si crea e come si forma? Che differenza c’è tra temperamento, carattere e personalità? Ecco delle definizioni e indicazioni su che cosa è davvero genetico e cosa invece dipende da fattori esterni e può cambiare.
“Mio figlio ha una personalità davvero forte!”
“Ha un carattere difficile, non possiamo farci nulla”
“Mio figlio è un monello”
“La piccola è molto dispettosa, mentre la bimba grande ha un carattere molto più dolce”.
Potrei andare avanti all’infinito ma so che tutte e tutti vi siete già riletti in almeno una di queste frasi.
Oggi lego i capelli all’insù, infilo un attimo gli occhiali a punta e faccio la professoressa: capiamo bene che cosa sono carattere, temperamento e personalità, capiamo che cosa è immutabile e genetico nei nostri piccoli e, soprattutto, capiamo quando stiamo mettendo delle inutili (e pericolose) etichette addosso ai nostri bambini.
Poi però, prometto, torno la Elena di sempre e troviamo insieme rimedi e soluzioni.
Se vuoi, puoi ascoltare i contenuti di questo articolo nella terza puntata del mio podcast.
Temperamento di un bambino:
Cosa è secondo la psicologia?
La psicologia definisce il temperamento come l’insieme delle disposizioni comportamentali presenti fin dalla nascita, le cui caratteristiche definiscono le differenze individuali in risposta all’ambiente.
Per la psicologia, dunque, il temperamento dipende dalla modalità di risposta ad emozioni positive e negative e all’affettività, determinata anche da reazioni biochimiche.
Questo ovviamente non vale solo per i piccoli, ma sono componenti genetiche che effettivamente ci portiamo anche da adulti.
Un esempio: la velocità di rilascio e smaltimento di cortisolo è variabile da individuo individuo e determina la gestione, sul piano genetico, dello stress. Ma non vuol dire in automatico che un individuo con smaltimento più lento di cortisolo sarà una persona più stressata (come vedremo tra qualche paragrafo, quando parleremo della personalità).
Carattere di un bambino: che cosa è e da cosa dipende?
Invece il carattere di un bambino è l’insieme dei comportamenti distintivi strettamente dipendenti dall’ambiente nel quale si vive.
Il carattere, nel bambino e ovviamente anche nell’adulto, si determina con l’esperienza, si tratta di un insieme di comportamenti appresi dall’esempio del mondo circostante oppure consequenziali, come reazione, allo stesso.
Se un bambino vede intorno a sé persone sempre molto nervose, che discutono in modo acceso e animato, o ne acquisirà le caratteristiche oppure, al contrario, avrà dei toni e atteggiamenti dimessi e docili per sfuggire alle situazioni di conflitto.
In entrambi i casi, si tratta di una reazione all’ambiente circostante.
Torniamo all’esempio del cortisolo: se il mio ormone dello stress lo smaltisco lentamente ma vivo e cresco in un ambiente in cui le condizioni di tensione e stress sono poche e ben gestite, il mio cortisolo a lento assorbimento non mi renderà necessariamente una “persona dal carattere ansioso”.
Se invece cresco in un ambiente dove una semplice caduta porta panico intorno a me, se cresco in un ambiente passivo aggressivo o in un ambiente emotivamente disfunzionale, ecco che il rilascio di cortisolo sarà frequente e abbondante e sì, sarò un bambina e poi un’adolescente e poi una donna “dal carattere molto ansioso”.
Come si determina la personalità di un bambino?
La personalità è, invece, l’unione tra temperamento e carattere.
La personalità ci descrive da un lato in modo innato, dall’altro dall’ambiente in cui viviamo.
Per questo la personalità può cambiare nell’arco della vita, e nei nostri figli accade soprattutto durante l’adolescenza, quando i piccoli non più tanto piccoli si confrontano con nuovi modelli e nuovi ambienti e “scelgono” nuovi metodi comportamentali.
E spesso noi genitori questi metodi comportamentali adottati dai nostri figli non li riconosciamo più e andiamo in crisi, quando invece queste novità dovrebbero entusiasmarci, come già discusso in questo post sulla differenza tra figlio ideale e figlio reale.
Che cosa ci insegnano queste definizioni prese dal mondo della psicologia?
A mio avviso, queste definizioni ci mettono davanti a scenari bellissimi non solo sull’educazione e il supporto ai nostri figli ma anche su noi stessi e il nostro percorso individuale come persone e genitori.
La psicologia ci dice che non dobbiamo credere nell’immobilità delle cose, nel concetto secondo sui se io sono così, non posso cambiare.
Faccio un esempio molto comune a noi adulti, che vogliamo lasciare vecchie strade lavorative per aprirne altre nuove. Quante volte sento dire “No, io non ho proprio lo spirito imprenditoriale! Io non sono davvero capace di vendere/di auto promuovermi”!
Ora che sappiamo che cosa è la personalità e il carattere e che non c’è alcuna componente genetica nel concetto di “sapersi vendere”, ma solo modelli comportamentali e modelli acquisiti, sappiamo che l’abilità a fare qualunque cosa si impara e che creare intorno a noi un ambiente adatto ad accogliere questo cambiamento che vogliamo, è importantissimo.
L’importanza di non dare etichette, a noi e soprattutto ai nostri figli
“Mio figlio ha una personalità davvero forte!”
“Ha un carattere difficile, non possiamo farci nulla”
“Mio figlio è un monello”
“La piccola è molto dispettosa, mentre la bimba grande ha un carattere molto più dolce”.
Queste non sono definizioni della reale personalità o carattere dei nostri figli: queste sono etichette che diamo loro, per renderci la vita da genitore più semplice da decodificare.
Scusami se sono così diretta, ma è bene rifletterci.
Se diamo un’etichetta, sarà difficilissimo per un bambino e poi adolescente e poi giovane adulto, liberarsene e diventare quello che davvero vuole essere.
Pensa a tutte le etichette che hanno messo addosso a te e che hai faticato a liberartene (ammesso che tu ce l’abbia già fatta, perché non tutti ci riescono).
Se i bambini sentono dire sempre che “Mia figlia è una prepotente, ha un caratteraccio”, si creerà ciò che la psicologia chiama profezia che si aiuto avvera: Io credo in una cosa e quella cosa si avvererà perché sarò io a farla avverare inconsciamente.
Le etichette sono pericolose anche nel bene: anche dicendo di continuo che “mio figlio è bravissimo”, “mia figlia sembra nata per fare la ballerina, è la più brava del suo corso”… li stiamo costringendo a diventare come li abbiamo definiti.
E crolleranno quando sbaglieranno o non vorranno/sapranno più essere le ballerine più brave.
Oppure faranno di tutto per diventare ballerine… senza mai riflettere davvero su quello che vogliono fare, solo per non deludere l’aspettativa che si sono trovati addosso senza chiederla.
Come non etichettare i nostri figli?
Questa è la domanda che più mi è stata rivolta dopo l’ascolto del podcast. Per evitare la “trappola” delle etichette ti lascio un consiglio apparentemente banale, ma che non lo è affatto. Guarda i tuoi figli senza pregiudizi, senza false aspettative. Guardalo per come è, nei suoi pregi e nei suoi difetti. Trattalo come tu stesso vuoi essere trattato: allontana le false aspettative ma soprattutto regalagli la possibilità di sbagliare, di uscire dagli schemi e di tentare strade nuove. Ti ringrazierà in eterno. Anche se sbaglierà, ti sorprenderà.