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Non si può più dire niente ai bambini: ma sarà vero?

Disciplina Dolce

Non si può più dire niente ai bambini: ma sarà vero?

Ormai ai bambini non si può più dire niente… almeno stando a quello che molte pedagogiste (come me) dicono sui social…
O forse non è così?

Una delle obiezioni che incontro più spesso sulla Disciplina Dolce, sia tra le persone che la incontrano per le prime volte quanto tra le persone che la seguono da un po’, magari attraverso i canali di divulgazione online (social, blog, magazine ecc.) è la sensazione che non si possa dire più niente.

Le parole della comunicazione con i nostri figli appaiono come un terreno minato, in cui alcune frasi sono “ok”, e le troviamo in copioni divulgati online, e parole che appaiono come sicuri decenni di traumi per i nostri figli.

Non si può dire “bravo” ai bambini altrimenti dipenderanno per sempre dai nostri giudizi.
Non si può dire “non fare così” perché si mettono limiti alla loro libertà di espressione.
Non si può dire “non attraversare la strada” perché si pongono limiti ai loro orizzonti biografici…

Calma, respiriamo.
Prima buona notizia: nella comunicazione con i nostri bambini non sono (solo) le parole a fare la differenza.
Anzi, le parole, nella comunicazione in generale e con i bambini in particolare, corrisponde a meno del 50% del messaggio in sé.

Capiamo insieme perché non è vero affatto che “ai bambini non si può dire più niente”, perché le parole e la comunicazione non sono poi quel terreno minato che temiamo tanto.
Oggi parliamo di intenzionalità comunicativa, cosa è e come salva e ri-bilancia la nostra comunicazione con i bambini e poi anche con tutte le altre persone.

Elena Cortinovis con il suo libro A CUORE ACCESO


La comunicazione è un aspetto che mi sta da sempre molto a cuore; la base di una sana crescita dei bambini è trovarsi in un ambiente in cui la comunicazione è inclusiva verso i bambini e tra membri della famiglia.

Ne parlo in modo approfondito nel mio libro A CUORE ACCESO, edito da Fabbri Editori.

Ne parlo anche nel corso
Impara a Comunicare per farti ascoltare.

Cosa è l’intenzionalità comunicativa

La comunicazione non è fatta solo di parole. La comunicazione è composta da parole, prossemica, pause, ritmi, tono di voce, espressione del viso.
In questo complesso circuito di attori, si inserisce la così detta intenzionalità comunicativa, cioè la reale e manifesta intenzione che abbiamo nel passare un messaggio e tutti i sotto-messaggi ad esso connessi, attraverso, appunto, parole, prossemica, pause, ritmi, tono di voce, espressione del viso.

L’intenzionalità comunicativa è la capacità di una persona di usare un linguaggio, più linguaggi e altri segnali per esprimere intenzioni e trasmettere messaggi con uno scopo preciso.

Dire “bravo” per levarsi qualcuno, finalmente, di torno, non è come dire “bravo” per dare un reale rinforzo positivo.

Prima riflessione su cui soffermarci come gentiori: quale scopo ha la nostra comunicazione con i nostri figli? Che intenzione abbiamo quando diciamo qualcosa e come si manifesta questa intenzione?

I bambini ascoltano poco le parole

I bambini hanno molta capacità di comprendere cosa davvero vogliamo dire – molto più e molto meglio degli adulti – proprio perché spesso non conoscono le parole.
I bambini, dai primissimi giorni di vita, devono capirci annusandoci, guardandoci, sentendoci, perché la lingua non verbale è il primo approdo per comunicare con chi si prende cura di loro.

I bambini possono capire poco le parole, ma capiscono benissimo le intensioni e il meta testo, molto più degli adulti.
Per un bambino, la stessa frase “Se non metti le scarpe non andiamo al parco” può apparire come senso di minaccia (e la minaccia non è un buon approccio all’educazione né alla comunicazione) oppure come la spiegazione del funzionamento di una regola, a seconda di
tono di voce, espressione del viso, pause tra il prima e il dopo della frase, sorrisi o bronci.

Se vuoi degli esempi pratici di stesse frasi dette con diversissima intenzionalità comunicativa, ascoltale nella puntata 151 del mio podcast.

Allineare il messaggio verbale e non verbale

disciplina dolce elena cortinovis

Dunque, nella disciplina dolce, in realtà, più che le frasi corrette e le frasi sbagliate, ci si concentra sulla nostra capacità di trasmettere realmente un messaggio con un’intenzione sana e positiva.
Dire “bravo” o dire “se non metti le scarpe non andiamo al parco” possono apparire, per iscritto, due esempi di cose da non dire ai bambini, ma in realtà se dette trasmettendo la nostra reale intenzione (rispettivamente, rinforzo positivo relativo ad un’esperienza e non un obiettivo e spiegazione del funzionamento di una regola e rapporto causa-effetto), le parole diventano del tutto positive.

Il passo successivo è quello di imparare, sempre di più, nella nostra comunicazione quotidiana, ad allineare il messaggio verbale con il non verbale.

Un esempio di non allineamento che tutti capirete è quando il nostro partner ci chiede “Tutto ok? Sei arrabbiata/arrabbiato?” e la risposta è “Certo, tutto ok”… ma con toni e/o preceduti da silenzi passivo aggressivi.
E la cosa interessante è che, mentre in genere il partner si accontenta della risposta verbale, il bambino legge meglio quella non verbale.

Il linguaggio nascosto del silenzio

Anche il silenzio può essere un silenzio punitivo o un silenzio in cui, restando accanto al bambino, diamo il tempo di elaborare e capire quello che stiamo cercando di comunicare.

Continuiamo con l’esempio nella coppia; stare la sera sul divano, in silenzio, a guardare un film, abbracciati e concentrati, è un silenzio ben diverso da quello passivo aggressivo che si crea quando si ha l’intenzionalità comunicativa di far passare la propria delusione, rabbia, frustrazione.

I bambini hanno dei recettori specifici per tutto quello che è comunicazione non verbale, motivo per cui il silenzio punitivo è sì, portatore di traumi molto lunghi da superare, mentre un silenzio di attesa, conforto, presenza, è un luogo sicuro, uno spazio di comprensione.

Differenza tra minaccia e spiegazione delle conseguenze

Torniamo ai bambini e all’esempio delle scarpe e del parco.
La semplice frase

Se non ti metti le scarpe non andiamo al parco

Racchiude la tua intenzione intrinseca, che può essere quella di spaventare attraverso una minaccia (io ti spavento, così fa quello che ti dico), oppure far capire che è una regola, una routine necessaria, un rapporto causa effetto.

Dunque, nel secondo caso, puoi arrivare ad un obiettivo rispettoso e positivo, anche se la frase che hai pronunciato non segue i canoni perfetti delle “tot regole d’oro della comunicazione rispettosa“.

Poi, ci sarà una pedagogista come me, su Instagram, che ti dirà che la frase da manuale potrebbe essere

Quando ti sarai messo le scarpe, possiamo andare al parco

Ma, al netto del fatto che anche questa frase ineccepibile, se detta urlando e in tono minaccioso, non è più da manuale, ricorda che mettere in pratica in modo consapevole un’intenzione positiva e sana è molto più importante che imparare un copione a memoria, proprio come ai tempi della scuola.

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