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Il giusto copione dei genitori: guida alle parole da dire e da non dire

Disciplina Dolce

Il giusto copione dei genitori: guida alle parole da dire e da non dire

Chi conosce il mondo della disciplina dolce “dal di fuori”, ad esempio per chi l’ha sfiorata per la prima volta sui social, ha probabilmente interiorizzato o capito che ci sono parole da dire e parole da non dire ai bambini.

Ad esempio, si dice che la parola “Bravo“, si corre il pericolo di rende il bambino dipendente dal giudizio dei genitori e degli altri.
Ma allora, quali parole possiamo dire al posto del “bravo”?

E poi ci sono anche parole come “capriccio”, “monello”, ma anche “sei un bravo bambino/sei una brava bambina”, e poi ancora “Ma che bravo ometto!” e tutta una serie di frasi banalissime e parti integranti del nostro lessico interfamigliare quotidiano.

E dunque, dove si trova il giusto copione della Disciplina Dolce?

La risposta è molto semplice:
Questo campo minato verbale, dove pare che non si possa più dire niente ai bambini, NON E’ LA DISCIPLINA DOLCE.

Quello che apprendi dai social non è che la punta di un Iceberg, la versione breve e l’aggancio per un approfondimento necessario (ad esempio, ogni mio contenuto di instagram è accompagnato da un podcast e dagli articoli lunghi e dettagliati di questo blog).

Oggi, in questo articolo, cerchiamo di capire meglio in che senso, in che misura e perché alcune parole sono più utili di altre nella comunicazione con i nostri bambini e, quindi, nel nostro approccio educativo con loro.
Soprattutto capiremo come e perché la comunicazione non è fatta solo di parole, soprattutto quella con i nostri bambini.

Esci dalla logica del copione

So che ci sono pedagogisti e pedagogiste che, tra i loro prodotti, propongono e vendono dei veri e propri frasari, sì, proprio dei copioni di cose da dire in vari contesti sfidanti ricorrenti per i genitori.
Cosa dire durante le crisi improvvise dei bambini? Leggi il copione.
Cosa dire se non vuole mangiare? Leggi il copione.
Cosa dire se non rispetta le regole? Leggi il copione.

Ora, se la genitorialità fosse come la costruzione di una pièce teatrale, sarebbe tutto più facile, me ne rendo conto. Ma il mondo non è un teatro e le relazioni lo sono ancor meno.

Quando comunichiamo ci muoviamo nel contesto di testo parlato, prossemica, tono di voce, livello di energia o stanchezza, e persino l’ambiente circostante, dalle altre persone al luogo in cui siamo e al momento della giornata incidono sulla comunicazione, luogo in cui le parole valgono meno del 50%.

Dunque usciamo dalla logica del copione da seguire e concentriamoci sulla intenzionalità comunicativa.

Intenzionalità comunicativa più importante delle parole

Elena Cortinovis, pedagogista disciplina dolce

L’intenzionalità comunicativa è la capacità di una persona di usare un linguaggio, più linguaggi e altri segnali per esprimere intenzioni e trasmettere messaggi con uno scopo preciso.

Come ho approfondito nell’articolo “Non si può più dire niente ai bambini“, l’intenzionalità comunicativa ha, soprattutto per i bambino, molto più peso delle parole.

Se la parola “bravo“, quando il bambino ha fatto un bel disegno, ha l’intrinseco intento di togliertelo di torno, un bambino lo sente.
Se il “bravo” lo dici con tutto il cuore e l’entusiasmo, ma come solo e unico rinforzo positivo al suo operato… stai semplicemente limitando tantissimo il potenziale di quello che puoi comunicare ai tuoi bambini. Se al rinforzo positivo del “bravo” seguono domande su quanto si è divertito, come si sente, se ne farà altri, di disegni, arricchiamo il momento di comunicazione spostando l’attenzione dal risultato allo sforzo e ai suoi sentimenti.


Il “bravo” non avrà fatto male a nessuno ma, abbandonato lì, sarà il semplice frutto di una comunicazione senza fantasia e senza approfondimento.

Non ti serve una regia

Manuale pedagogia a cuore acceso


Sorrido molto quando le mamme e i papà che seguono i miei corsi e/o i miei percorsi di consulenza di comunicazione e pedagogia mi dicono “Vorrei una Cortinovis sempre sulla spalla o sul tavolo di casa”.

La verità è che “io non vi servo”, non vi serve qualcuno che vi dica le giuste parole…

In compenso ti posso dare un sussidio, da tenere sul comodino, come il manuale A Cuore Acceso, edito da Fabbri Editori.

Come non serve un copione, alla tua genitorialità, non serve neanche una regia esterna.
Il regista sei tu, nel momento in cui scegli il tipo di approccio comunicativo e pedagogico che vuoi avere; se scegli di seguire un’educazione rispettosa, empatica, stai scegliendo la strada più complessa, di sicuro, ma quella che ti darà migliori risultati sul medio lungo termine sia per la fiducia dei figli in se stessi che nel rapporto che maturerai con loro nel tempo, anche quando non saranno più bambini.

Inoltre, approcciarsi alla Disciplina Dolce prevede un vero e proprio cambiamento dell’approccio nella vita anche al di fuori della propria famiglia o della stretta dinamica del rapporto con i figli.

Le parole da non dire non esistono?

Non proprio.
Le parole da evitare esistono eccome, ma non esistono quelle strettamente legate alla comunicazione con un bambino.

Spesso diciamo o consideriamo tutto sommato giusto dire ai bambini quello che non diremmo mai ad un adulto. La giusta riflessione di partenza è proprio questa: perché mai dovrei dire a mio figlio “Ma smettila di rompere!”, quando, se lo dicessi al mio/alla mia partner, al collega, al maestro di scuola, ne scaturirebbe una brutta figura o una terribile lite?
Perché ci preoccupiamo così tanto di come i grandi possono reagire alle nostre parole e al nostro approccio comunicativo, e tralasciamo queste riflessioni quando parliamo con le persone più importanti della nostra vita?

Ti lascio con questa domanda perché la Disciplina Dolce è questo: tante domande che, incasellate e ben guidate, ti portano alle giuste risposte.
Non certo ad un copione da seguire

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