Raccontare la guerra ai piccoli è davvero necessario? E se ci chiedono qualcosa, come possiamo filtrare la realtà e non farla restare un trauma permanente?
“Mamma, ma bombarderanno l’asilo?” (4 anni)
“Mio figlio non vuole andare a scuola perché ha paura dei soldati” (papà di un figlio di 6 anni)
“Papà, devi andare in guerra?” (domanda di un figlio di 6 anni)
Non sono frasi che invento. Mi sono arrivate decine di messaggi di genitori che mi hanno riferito di questi dubbi nelle menti dei loro bambini.
Non solo la guerra sul fronte ucraino, che oggi ci dà un triste aggancio per parlare di guerra e pessime notizie e di come trasmetterle, o meglio filtrarle ai figli;
il mondo è difficile. “Il mondo… è una merda”, come ha detto in un momento lucido e liberatorio Veronica Togni con la quale ho fatto una diretta instagram sull’argomento, ma questa considerazione basata su un nostro “adulto” momento cupo, con immediata sdrammatizzazione e decodifica, non deve arrivare ai più piccoli.
Abbiamo, come genitori, il dovere di proteggere i più piccoli non solo da alcune dinamiche purtroppo crudeli della vita, ma anche dal bombardamento di informazioni date (non sempre al solo scopo di informare, ma anche di fare business editoriale).
Come pedagogista, cerco di rispondere ad alcune domande in merito a come spiegare la guerra e l’attuale situazione di tensione internazionale ai bambini.
Come parlare della guerra a mio figlio?
La prima risposta passa da una domanda che faccio io a te:
perché parlarne?
Perché tuo figlio è venuto da te a chiedere lumi o perché hai deciso di interrompere il suo gioco perché “la guerra fa parte della vita e deve sapere” o perché tanto prima o poi ne sentirà parlare dai nonni?
Anche la morte fa parte della vita e prima o poi il tuo bambini si interfaccerà con essa, ma a te presumo non verrebbe mai in mente di andare da tuo figlio a dire “tesoro, un giorno io morirò; e poi morirai anche tu. Moriremo tutti”.
A volte sentiamo la necessità di parlare dei fatti di cronaca più vicini e terribili spinti da una base di nostro bisogno personale… di scaricare ansia.
Anche noi genitori abbiamo bisogno di certezze, di aggrapparci da qualche parte e, dando risposte ai nostri figli le vogliamo dare anche a noi stessi.
Ma così dimentichiamo che i bambini sono bambini e non adulti in miniatura. Ed è giusto che alcune cose, soprattutto nelle fasce di età 0-5, vengano nascoste, omesse o quantomeno fortemente filtrate.
Due anni fa riempivamo i nostri balconi con cartelli con su scritto “Andrà tutto bene”. Non è andato davvero tutto bene, abbiamo un tessuto sociale in frantumi e sapevamo che questa possibilità era tangibile, ma abbiamo deciso di dirci e dire loro che sarebbe andato tutto bene.
Dopo questa riflessione, nel caso in cui fosse il piccolo a chiedere della guerra, dopo averne sentito parlare dai nonni, al tg o a scuola o da amichetti, come possiamo rispondere senza creare traumi, insicurezze, paure forti e, soprattutto, durature?
1. “Gestiamo” le nostre emozioni
La guerra non fa paura solo ai bimbi: se persino noi siamo atterriti di fronte a certe immagini e all’immaginare alcuni scenari, figuriamoci i più piccoli.
Prendiamoci del tempo per elaborare le nostre paure così da non darle “grezze” e non gestite e gestate nei nostri racconti ai piccoli.
Come ho detto in una puntata del mio podcast su come reagire alle “domande scomode” dei nostri bambini, non dobbiamo rispondere sempre subito.
“Ci penso un po’ così ti spiego tutto in modo più chiaro, va bene?” può essere più rassicurante di una risposta affrettata e emotivamente impreparata.
2. Adeguiamo il linguaggio
Dire a un bambino di 4 anni “La guerra è lontana, non è qui”, non può funzionare.
Un bambino sotto i 5 anni non capisce cosa sono 5 minuti, figurati se il suo cervello cognitivamente ancora immaturo può capire che differenza oggettiva c’è tra 5 metri e 40.000 km.
Se il piccolo ha paura che “venga bombardato l’asilo”, è importante non sminuire la paura, mostrare di averla compresa e accolta.
Rispondere che l’asilo è un posto sicuro, perchè ci sono le maestre, i compagni e mamma e papà lì vicino, forse non è la pura verità, ma è ciò di cui ha bisogno nostro figlio in quel momento ed è il tipo di messaggio semplice che può comprendere.
Razionalizziamo la risposta in conformità con il grado di razionalità adatto alla loro età.
3. Razionalizziamo il nostro rapporto con l’informazione
Ebbene, anche in questo caso, il punto non sono i piccoli ma siamo noi.
Se uno dei due genitori torna a casa e ha l’abitudine, per informarsi, di accendere la TV o la radio o un canale youtube e ascoltare le news con dei bambini in casa, non c’è da stupirsi se i piccoli immagazzinano messaggi che passano da un punto di vista linguistico e concettuale e che loro lo possano vivere con un’ansia per la quale non sono ancora pronti.
Questa semplice abitudine del genitore di accendere la tv e guardare un tg in modo leggero, persino disattento, diventa leggerezza e disattenzione verso l’infanzia.
Il TG spesso passa informazioni in modo confuso anche per noi, figuriamoci per i piccoli, per non parlare di quanto l’editoria abbia un business legato all’ossessività di immagini e messaggi, al bisogno di “esser primi” a dare informazioni, più che alla necessità di dare informazioni circostanziate.
Anche i bombardamenti di informazioni possono essere distruttivi e noi dobbiamo essere, come educatori, degli scudi anti bomba.